Lamberti: "Ecco il nostro mondiale del sorriso"

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Marco Lamberti è un commissario tecnico strano. Non solo non ama le statistiche, ma nemmeno ricorda quanti titoli mondiali ha vinto alla guida della nazionale del calcio da tavolo Subbuteo. “Dicono che sono il più vincente di sempre - se la ride - ma non è che fosse poi così difficile: siamo stati solo due e io ho ricoperto il ruolo più a lungo. Quindi…”. 

L’Italia torna da Rochefort con il solito bottino di medaglie d’oro. Stavolta, però, era meno scontato rispetto al passato. Non solo perché la Spagna zitta zitta ormai ci fa sentire puntualmente il fiato sul collo, ma per un’altra serie di motivi che letti ora, a posteriori, effettivamente fanno riflettere: l’assenza in extremis di Simone Bertelli, la prima volta dei veteran senza la presenza fisica di Stefano di Francesco, un esordiente open (Luca Colangelo) buttato nella mischia anzitempo causa forza maggiore, qualche elemento che nel finale di stagione era sembrato leggermente appannato. E qualche altro aspetto che forse il cittì preferisce tenere per sé.

Lamberti, quali sono state le delusioni e le sorprese positive per l’Italia in questo mondiale?

“Nelle mie categorie di competenza (open e veteran, ndr) abbiamo vinto 3 titoli su 4 e in quello che ci è sfuggito (individuale open, ndr) abbiamo piazzato due atleti in semifinale. Certo, si può sempre ambire alla perfezione, ma credo che nel complesso possiamo essere soddisfatti. Per quanto mi riguarda la sorpresa più bella è stata la vittoria a squadre nei veteran. Ero preoccupato perché per la prima volta non c’era De Francesco, Bolognino inoltre giocava l’open. Non era così scontato vincere. L’abbiamo fatto e per come è arrivato il successo mi sento di dire che i vecchietti sono diventati grandi”.

Più scontato vincere il titolo open?

“Rinunciare a Bertelli a due giorni dalla competizione non è esattamente tranquillizzante. Contro gli spagnoli ormai la partita è sempre aperta a qualsiasi risultato. Tutto sommato anche questa vittoria è stata una bella sorpresa, figlia della giusta tensione che c’è stata in qualche giocatore”.

Alla delusione ci si arriva in automatico: il titolo individuale open, sfuggito ancora.

“Ormai i mondiali assoluti individuali sono un terno al lotto. Puoi uscire con chiunque. Non è un titolo che riesci ad ipotecare. Devi aspettare e sperare, perché i giocatori che trovando un’ottima giornata possono arrivare in fondo, sono diversi. Quest’anno ad esempio c’è stata la sorpresa di Sergio Ramos, che ha disputato un grandissimo mondiale. Il fatto che nelle ultime tre edizioni abbiano vinto atleti diversi, pur se tutti spagnoli, è la conferma. Nei veteran sinceramente avevamo maggiori possibilità”.

C’è qualche giocatore che l’ha un po’ delusa?

“Sarebbe facile replicare che a questa domanda non rispondo. Diciamo che da qualcuno mi aspettavo qualcosina di più, ma non si può ottenere sempre il massimo da tutti. Sia chiaro, parlo da un punto di vista prettamente sportivo perché il contributo effettivo alla causa l’hanno dato veramente tutti. In passato c’è stato qualcuno che è arrivato all’appuntamento mondiale non perfettamente pronto, stavolta devo dire che tutti erano preparati e molto concentrati".

Un giudizio sugli esordienti Colangelo e Santanicchia?

“Mancando Bertelli, Luca ha dovuto fare un triplo salto in avanti. Il suo inserimento era previsto, ma più gradualmente. E’ stato costretto a crescere più in fretta del previsto e mi pare che ci sia riuscito bene, considerato che è arrivato in semifinale nell’individuale e a squadre ha realizzato il goldengol che ci ha regalato la vittoria. Cesare si è messo a disposizione della squadra. Nella consapevolezza che era l’ultimo inserito nel gruppo, ha fatto quello che doveva fare. Va tenuto presente che i veteran hanno giocato solo quattro partite, di cui due vere: la semifinale e la finale. Quindi non ha avuto nemmeno il tempo di calarsi nella parte. Ha fatto bene quello che gli è stato chiesto”.

Un mondiale ogni anno e l’Italia che vince sempre tutto. Ma non rischiamo che questa manifestazione si svaluti e perda di contenuto.

“Il problema non è tanto l’Italia che vince sempre, che dovrebbe essere da stimolo per gli altri e in alcuni casi lo è. Io sono tra quelli che considera poco stimolante giocare ogni anno i mondiali e in non perfette condizioni organizzative. Reputo che sarebbe più idoneo giocare ogni due anni. Anzi, addirittura a mio avviso il massimo sarebbe alternare ogni due anni un Mondiale e un Europeo, in questo modo la competizione iridata ci sarebbe ogni quattro stagioni e avrebbe un sapore davvero diverso e probabilmente sarebbe organizzata come Dio comanda”.

A proposito di organizzazione, come è andata a Rochefort?

“Campi perfetti, bene i turni di gioco. Ma quello che abbiamo disputato era un normale torneo internazionale. Per me un mondiale è un’altra cosa. Si gioca in location consoni ad ospitare una manifestazione sportiva di alto livello. In città dove ci sono strutture alberghiere e di ristorazione vicine all’impianto e all’altezza. E non si paga sei euro una bottiglia d’acqua al bar. Purtroppo nel calcio da tavolo Subbuteo manca ancora la cultura dello sport  nel resto del mondo. L’estero deve imparare dall’Italia. Io di tutti i mondiali che ho disputato posso considerare tali solo quelli di Palermo, Bologna e Madrid. Non si può dormire a trenta chilometri rispetto a dove si gioca e per questo mangiare in orari assurdi. Non bisogna mai dimenticare che nelle comitive delle nazionali ci sono anche bambini di 10 anni". 

Cosa le rimarrà dentro di questi campionati?

“Quello che mi interessa davvero è quello che è successo. Per quanto l’albergo fosse distante e l’utilizzo del pullman praticamente continuo, è stata una esperienza di vita bellissima stare tutti insieme dalla mattina alla sera. Abbiamo costruito una sorta di casa azzurri ed ha funzionato alla perfezione. L’armonia del gruppo ha consentito a tutti, ma proprio tutti, di divertirsi e di vivere completamente questa avventura. Ho visto gente col il sorriso sulle labbra quattro giorni su quattro. Questo ci ha permesso di sviluppare un grandissimo spirito di gruppo che a mio avviso è stato ad esempio fondamentale per ribaltare una partita che sembrava persa, come la finale open. Di sicuro il passo che abbiamo fatto con la professionalizzazione del centro federale e il coinvolgimento di una azienda specializzata come la Stemar Viaggi, ha avuto i suoi effetti anche sul gruppo azzurro. Ci siamo presentati tutti insieme, con il nostro pullman, come la nazionale di una disciplina più importante. Questo, a mio avviso, deve essere il traguardo per il futuro: crescere ancora sotto l’aspetto dell’immagine e dell’organizzazione. Sogno il giorno in cui tutta la comitiva indosserà la stessa divisa anche in borghese, avrà lo stesso trolley, giungerà insieme in aeroporto e così via. So che la federazione sta lavorando su questo aspetto. E non ho alcun dubbio che se i mondiali si disputeranno a San Benedetto del Tronto disporremo finalmente di una vera “casa azzurri”.

Cosa farà Marco Lamberti da grande?

 “Se la federazione mi confermerà ancora, continuerò a fare il commissario tecnico e a portare avanti il progetto, che è inserire piano piano in prima squadra i ragazzi più giovani quando sono pronti. Un’operazione complessa, in cui a volte si può sbagliare. Due anni fa a Manchester l’inserimento di Calonico non fu subito vincente ma si è rivelato fondamentale per il futuro, visto che poi ha vinto tutto quello che si poteva vincere e a Rochefort si è fermato solo in finale contro un fenomeno come Mattiangeli. Quest’anno è toccato a Luca e il segnale è stato bello. La finale l’abbiamo ripresa per i capelli grazie ai giocatori più esperti, bravi a trascinare la Spagna ai supplementari, ma poi l’acuto vincente nell’extra time è stato il suo. Che è stato come urlare: ragazzi, sto arrivando! Ecco, la strada è questa”.

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